[EN/IT/ES] Should We Stay Anonymous on Hive? A Reflection on Regulation, Privacy and Control ---Anonimato su Hive e controllo statale: una riflessione --- ¿Ser anónimo en Hive? Una reflexión sobre privacidad, control y criptomonedas
hive-146620·@garlet·
0.000 HBD[EN/IT/ES] Should We Stay Anonymous on Hive? A Reflection on Regulation, Privacy and Control ---Anonimato su Hive e controllo statale: una riflessione --- ¿Ser anónimo en Hive? Una reflexión sobre privacidad, control y criptomonedas
 *Image rights purchased on Freepik* I’m turning this into an article based on a comment that @pousinha asked me a while ago — namely, whether staying anonymous on Hive could help avoid drawing too much attention from governments. Here’s my take. Let’s be honest: governments — some more than others, but all of them to some degree — will always look unfavorably upon cryptocurrencies. Especially the real ones: decentralized, uncontrollable, uncensorable. Regulations will keep tightening, always under the guise of "protecting consumers" or "fighting crime." Take MiCA, for instance — the EU regulation on crypto. I believe it’s only a matter of time before it requires users to store their funds on centralized wallets, so that governments can freeze or seize them whenever they deem it “necessary.” And this isn’t even just about taxes — whatever “fair” might mean in that context. It’s about control over capital. And control over capital means control over people. But that’s the direction we’re headed across all areas of life — not just crypto. The clash here is more visible because crypto was born precisely to challenge centralized control. That’s its nature. Whether that’s good or bad is a debate on its own — but the fact remains. You’re worried about needing a tax ID just to be a blogger? Pretty soon you’ll need one just to breathe. Let me give you an example that didn’t get nearly enough attention, but speaks volumes. It happened in Italy — but because of EU regulations, what’s considered fiscally relevant in one member state applies across the whole Union. The Italian Tax Agency sent a bill to Meta (Zuckerberg), X (Musk) and LinkedIn (Gates) over unpaid VAT. Why? Because users “gave” their personal data in exchange for access to these platforms. That, according to the agency, constitutes a transaction — and transactions are taxable. Think about it: you handed over your data to Facebook to use the platform for free? Then those data have value. Meta received something of value and thus owes VAT on that value. At first, many cheered: “Finally! The tax-dodging tech giants will have to pay up!” (Then they wonder why politicians like Trump claim the EU is imposing unfair tariffs — but that’s another discussion.) But no one paused to consider the bigger picture. Let’s assume — just for argument’s sake — that this twisted logic is valid (personally I think it’s absurd). If Meta received something of value (your data), and owes VAT on it, then you must have made a sale. And sales generate income. So, not only did Meta allegedly evade taxes — but you did too. After all, someone must have sold something, right? The individual value may be trivial. But how many times does the average person give away personal data in exchange for some service? Think of all the websites you sign up for, all the free emails, newsletters, loyalty cards, discount programs. Every one of those, potentially, could now be framed as “undeclared income.” Why did this apply only to Meta, X, and LinkedIn? What about sites like La Repubblica, which won’t let you read a single article unless you accept cookies or register? Why are they exempt? And here’s where it gets even worse. According to tax rules, if you “sell” something just once or twice, it may be considered occasional and not require a business license. But do it four or five times — even if you make a few euros — and you’re expected to register for a VAT ID. That’s how Italian tax law works. So, every user who has ever shared data for access to a service is now potentially: an unregistered business, an undeclared income earner, a full-fledged tax evader. Even people with existing tax IDs aren’t in the clear — none of them declare "selling personal data" as part of their business activity. Maybe the tax office will soon create a special category for it. Sounds ridiculous? It’s not. It’s all there — in black and white — buried in the files of the Italian Revenue Agency. No one is safe when governments decide they’re short a few cents — maybe to buy another shiny new missile. *(AI-powered English translation)*  Trasformo in articolo un commento che @pousinha mi aveva chiesto riguardo al fatto di quanto sarebbe utile esser anonimi su Hive per attirare meno attenzione possibile da parte degli Stati. Eccolo di seguito. Gli Stati, qualcuno più di altri, ma tutti nel complesso, vedranno sempre peggio le crittovalute, in particolar modo le vere crittovalute, quelle decentralizzate e non controllabili. Le normative, adducendo sempre "sacrosante" motivazioni, si stringeranno sempre maggiormente. Ad esempio il MICA, la normativa che in UE regolamenta le crittovalute, credo che arriverà, in tempi non troppo lunghi, a richiedere l'obbligo di deposito su wallet centralizzati da cui possa, sempre per "sacrosanti" motivazioni, all'occorrenza confiscare tutto. Non si tratta tanto e solo di pagare le giuste tasse, qualsiasi sia il significato dell'aggettivo "giuste", ma di controllo dei capitali, propedeutico al controllo delle persone. Ma questo, prepariamoci, sta avvenendo in ogni aspetto della vita, non solo nelle crittovalute. In questo ambito il fenomeno è maggiore, perché maggiore è il contrasto fra i due mondi ed il potere di sfuggire al controllo offerto dalle crittovalute, che, vale la pena ricordarlo, sono nate proprio per questo motivo. Anche in questo caso senza entrare nel merito etico di cosa significhi "sfuggire al controllo". Parli di evasione fiscale e necessità della P.I. per fare la blogger? Paradossalmente fra poco sarà necessaria per respirare. Porto a chiarimento un evento accaduto qualche tempo fa, proprio con epicentro l'Italia, ma solo come apripista per tutta l'UE, visto che per regolamento ciò che viene ritenuto fiscalmente rilevante in uno dei paesi lo diventa automaticamente in tutti, ma che è passato abbastanza sottotono e per quel poco che se n'è parlato si è focalizzata l'attenzione su aspetti parziali. In Italia dicevo, l'Agenzia delle Entrate, ha chiesto conto a Meta (Zuckerberg), X (ora Musk) e Linkedin (Gates) per la presunta IVA evasa da queste piattaforme per il controvalore che verrebbe attribuito alla cessione dei dati personali da parte degli utenti per l'uso delle piattaforme. Cioè, per esser chiari: tu hai ceduto i tuoi dati personali a Meta per aver accesso ai suoi social gratuitamente? Ok, allora i tuoi dati personali hanno per la piattaforma un valore e su quel valore sono chiamate a pagare l'IVA. La notizia è passata molto sottotono e per nulla sviscerata. Semmai in molti hanno sostenuto fosse giusta: finalmente i cattivi evasori sono costretti a pagare le tasse! (Poi qualcuno si domanda: ma perché Trump mente dicendo che l'UE mette i dazi? Ma questo è un altro discorso) Nessuno ha "allargato l'orizzonte" delle conseguenze. Partiamo dal presupposto che il principio sia giusto (non è vero: secondo me è abominevole). Ma a questo punto, trattandosi di un "baratto" chi ha pagato chi? E' Facebook ad aver comprato i dati personali o sono gli utenti ad aver comprato l'accesso alle piattaforme pagando con essi e quindi sarebbero loro a dover versare l'IVA? Quindi i dati personali sono diventati una "moneta" o un "token"? Ma continuiamo pure a considerare come valido questo abominio che qualcuno considera un ragionamento e seguiamo la logica per cui a comprare sia stata Meta che quindi deve pagare, come preteso dall'Agenzia delle Entrate, l'IVA. Ok, finisce qui? Eh no. Perché questo principio ha delle conseguenze susseguenti: a fronte di un compratore ci deve esser un venditore. Se Meta avrebbe evaso l'IVA (che in realtà non ha incassato o al massimo ha incassato come porzione dei dati personali, visto mai che in futuro chieda il rimborso all'utente) significa che l'utente ha effettuato una vendita e pertanto ha avuto un profitto non dichiarato. Sembra una sciocchezza? Certo la cifra è irrisoria. Presa singolarmente. Ma a parte il fatto che si parla di evasione anche se si trattasse di solo 1 centesimo, quante volte una persona cede i suoi dati personali per aver qualcosa in cambio? Su quanti siti ogni persona si iscrive per usufruire di informazioni e servizi in modo gratuito (si anche il tuo forum purtroppo)? Chi non ha almeno un'email gratuita? A quante newsletter si è iscritti? E le tessere del supermercato (il concetto di pagamento di IVA sulla cessione di un bene non vale solo online), le adesioni ad enti di vario genere? A proposito, apro una parentesi, perché il mancato pagamento dell'IVA viene contestato solo a 3 piattaforme e non a tutti gli altri casi, come ad esmepio, ne butto uno a caso, Repubblica che se non gli concedi i dati non ti fa leggere le notizie? Non esiste una legge che dica che la cessione di dati personali gratuitamente sia fiscalmente esente per gli altri, siano online o no. E ce ne sono alcuni che vanno avanti da decenni. Ma torniamo all'utente cessionario dei dati. Ogni cessione può esser considerato un micro-profitto non dichiarato, di entità irrilevante. Ma messi tutti insieme qualche euro ogni anno lo valgono. E sappiamo bene che viene contestata ad un bar l'evasione anche nel caso ti abbia regalato un bicchier d'acqua e non abbia rilasciato lo scontrino (assurdo anche questo lo so, ma ci sono già state sentenze di condanna definitiva, basta spulciare la giuridsprudenza). Ma c'è ancora di peggio. Se nel corso dell'anno fai una cessione di un bene/servizio puoi avvalerti della presunzione di vendita occasionale ed evitare l'apertura della P.I. Ma se ne fai già 4 o 5 non più: sei obbligato ad aprire P.I, qualunque sia il valore del fatturato ottenuto. Quindi tutti gli utenti di Meta (e di tutti gli altri esempi che ho citato) avendo ceduto gratuitamente i loro dati personali per usufruire di alcune utilità sono, oltre che evasori dei relativi importi, anche evasori totali, come li chiama il Fisco italiano, cioè non hanno aperto una P.I. Anche chi aveva una P.I. non ha nella sua attività dichiarata la cessione di dati personali. Mi aspetto che il Fisco italiano crei anche l'opportuno codice ATECO. Paradossale? Eppure è tutto lì, scritto nero su bianco sui faldoni dell'Agenzia delle Entrate e nessuno può sentirsi al sicuro quando domani sarà dalla parte sbagliata o quando un giorno lo Stato si accorgerà che gli manca un centesimo, magari per comprare un bel missile nuovo.  Convierto en artículo un comentario que me pidió @pousinha hace un tiempo: ¿vale la pena mantenerse en el anonimato en Hive para evitar llamar la atención de los Estados? La respuesta, tristemente, es que cada vez más sí. Los Estados —unos más, otros menos, pero todos en general— ven con muy malos ojos a las criptomonedas. Y en especial a las auténticas: las descentralizadas, imposibles de controlar o censurar. La regulación irá endureciéndose progresivamente, como siempre, con pretextos “nobles” como la protección del consumidor o la lucha contra el fraude. Un buen ejemplo es MiCA, la normativa europea que regula los criptoactivos. Tarde o temprano, estoy convencido, terminará exigiendo que todos los fondos se custodien en wallets centralizados. ¿El motivo oficial? Seguridad. ¿El efecto real? Que el Estado pueda bloquear o confiscar tus activos cuando le parezca oportuno. Y esto ya ni siquiera tiene que ver solo con pagar impuestos —sea lo que sea que signifique “justos”. El objetivo es el control del capital. Y eso se traduce, directamente, en control sobre las personas. Es un proceso que está ocurriendo en todos los ámbitos de la vida. Pero en el mundo cripto el conflicto es más evidente: las criptomonedas nacieron justamente para escapar del control. Eso no es una opinión, es su razón de ser. Que uno esté de acuerdo o no, es otro tema. ¿Te preocupa necesitar un número de identificación fiscal para ser blogger? Dentro de poco lo necesitarás hasta para respirar. Voy con un ejemplo que ha pasado casi desapercibido, pero que es clave. Ocurrió en Italia, pero afecta a toda la UE, ya que lo que se considera fiscalmente relevante en un país miembro aplica automáticamente en todos los demás. La Agencia Tributaria italiana presentó cargos contra Meta (Zuckerberg), X (Musk) y LinkedIn (Gates) por el IVA supuestamente no pagado. ¿La razón? Según ellos, cuando los usuarios acceden “gratis” a estas plataformas, en realidad están entregando sus datos personales, y esos datos tienen valor económico. Por tanto, las empresas deberían pagar el IVA por lo que han “recibido”. ¿Has entregado tus datos personales a una red social para usarla sin coste? Entonces, esos datos valen dinero, y la empresa debería tributar por ellos. Muchos aplaudieron: “¡Por fin los gigantes tecnológicos pagan impuestos!” Pero pocos se pararon a pensar en lo que esto implica realmente. Imaginemos que esta lógica tiene sentido (aunque en mi opinión es absurda). Si Meta ha recibido algo de valor, entonces tú has hecho una venta. Y si has hecho una venta, has generado un ingreso. Por tanto, tú también has evadido impuestos. Y no solo eso: si lo has hecho varias veces, ya no eres un simple usuario. Según la ley, eres un negocio no registrado. La cantidad puede parecer ridícula. Pero, ¿cuántas veces al año entregas tus datos a cambio de acceso a un servicio? ¿Cuántas newsletters, cuentas de email, foros, registros en sitios, tarjetas de fidelidad de supermercado? Y lo peor: si haces una “venta” una o dos veces al año, puede considerarse ocasional. Pero si lo haces cuatro o cinco veces, ya te exigen tener una actividad registrada, sin importar cuánto ganes. Así es como funciona el sistema tributario en países como Italia. Conclusión: cualquier persona que haya entregado sus datos personales para acceder a algo online podría ser considerada: una empresa no registrada, un contribuyente evasor, y además, alguien que no declaró su “actividad económica”. Incluso quienes ya tienen un número fiscal (NIF o P.IVA) no han incluido en su declaración “la cesión de datos personales” como parte de su actividad. ¿Crearán un nuevo código CNAE o IAE para eso? ¿Suena ridículo? Puede ser. Pero está todo ahí, negro sobre blanco, en los archivos de la Agencia Tributaria. Y nadie está a salvo cuando el Estado descubre que le falta un céntimo. Quizá para comprarse un nuevo misil brillante. *(Traducción al español hecha con IA)*
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